Da che parte iniziare a raccontare la storia di un’auto
come la Mini? E in quale chiave interpretarla? Industriale, tecnica,
stilistica, sociale, di costume… Esiste un’altra vettura che, come la originale
Morris Mini Minor, o Austin Seven, coniughi in sé una quantità così elevata di
valori e significati di portata praticamente universale? Forse no. O almeno,
dopo averci a lungo pensato, non si trovano alternative.
E allora proseguiamo con domande più semplici. Perché
parlare della Mini? La piccola vettura inglese è stata
presentata ufficialmente il 26 agosto 1959. Da quel
giorno non ha smesso di esistere: la sua produzione, infatti, è
proseguita ininterrottamente fino al 2000 mantenendo intatte le sue principali
caratteristiche. In seguito, neanche un anno dopo, la Mini è rinata con il
modello attualmente in produzione. Molto diversa dalla prima ma, come dicono
alla BMW (il Gruppo proprietario del marchio Mini) il concetto segue il motto
“dall’originale all’originale”. Il filo rosso non si è spezzato.
Le infinite versioni prodotte in 50 anni di onorata
carriera le lasciamo descrivere agli altrettanti libri in commercio che
riescono a svelare tutti quei dettagli che in poche pagine La Manovella non
potrebbe condensare esaurientemente. Ma ci sono tanti altri fatti storici che
sono altrettanto interessanti da sottolineare, tante piccole spigolature e
coincidenze che si possono focalizzare solo “col senno di poi”.
La genesi
Tanto spazio interno e minime dimensioni esterne;
ospitalità per quattro persone; impeccabili doti di guida, consumi ridotti e,
dulcis in fundo, prezzo di acquisto molto basso. Queste le precise indicazioni
che la British Motor Corporation (nata nel 1952 a Longbridge dalla fusione di
Morris Motors e Austin Motor) indirizza al tecnico Alec Issigonis per costruire
una nuova vettura. Leonard Lord, all’epoca capo della BMC, dà carta bianca ad
“Arrogonis” (così viene soprannominato in azienda il genio Issigonis, ma non
certo per sminuire le sue capacità professionali) con due “personali”
indicazioni: annientare le odiose “bubble car” e utilizzare un motore BMC già
in produzione.
Deve essere un progetto assolutamente segreto, quello
nato sul finire del 1956 per contrastare la crisi del Canale di Suez che ha
fatto impennare il prezzo del petrolio. Il suo nome ufficiale è ADO15 (da
Austin Drawing Office, progetto 15) ma presto viene ribattezzato Sputnik: la
Russia ha appena lanciato il suo Sputnik nello spazio, la BMC ha risposto con
la sua vettura che nella notte si aggira per i primi test drive sull’aeroporto
di Chalgrove.
Il primo prototipo viene completato all’inizio del 1958
e, agli occhi dei pochi fortunati che possono vederlo, appare come una piccola,
strana automobile con le ruote grandi come dei bottoni. Ma Issigonis fa salire
Lord per portarlo a fare un veloce giro all’interno della fabbrica e, una volta
sceso dalla vettura, il capo dice al tecnico: “Alec, la voglio pronta entro un
anno”.
Il progetto di Issigonis parte dal concetto della “tutto
avanti” per sfruttare al massimo lo spazio interno dell’auto. Motore e trazione
anteriori, ma con il propulsore montato in posizione trasversale per non
“invadere” l’abitacolo. Un concetto che oggi è quasi la norma, ma all’epoca non
era ancora così radicato e apprezzato. Alcune misure, poi, aiutano a capire
quanto fosse importante per Issigonis l’idea dello spazio interno. Le ruote
sono incredibilmente piccole (da 10 pollici, con le gomme costruite
appositamente dalla Dunlop) e posizionate quasi agli angoli estremi della
vettura. Questa è lunga 3,05 metri, ma ha un passo di ben 2,03 metri. È alta
1,41 e larga 1,35 metri. Il risultato è che l’80% dello spazio occupato dalla
vettura (inteso come la sua “impronta” sulla strada) è a disposizione dei
passeggeri e del loro bagaglio. Anche l’ampia superficie vetrata offre una
piacevole sensazione di dimensioni generose.
Il motore è l’ultima versione della serie “A” che
equipaggia la Morris Minor. Quattro cilindri in linea da 948 cm3 e 37 CV con
valvole in testa. Montato sul primo prototipo della futura Mini, che pesava 600
kg, il propulsore lancia la vettura a 150 km orari. Troppi per Issigonis, che
decide di ridurre la capacità a 848 cm3 e tagliare la potenza a 34 CV a 5.500
giri/minuto. Un’altra innovazione è quella del cambio a 4 rapporti montato
sotto al motore (con il quale condivide il circuito dell’olio) e direttamente
fra le ruote. Questa sistemazione lascia anche spazio al radiatore posizionato
a lato del motore e non “fronte marcia”. Il celebre effetto go-kart nella guida
della Mini nasce dall’utilizzo di giunti omocinetici sull’assale anteriore.
Questo, insieme a sterzo e sospensioni, è montato su un telaio ausiliario.
Stessa cosa per le sospensioni posteriori che sono, in più, a ruote
indipendenti. Al posto delle molle, due coni separati da uno strato di gomma
completano il sistema delle sospensioni insieme a piccoli ammortizzatori. Il
cono superiore è fissato ad un telaio ausiliario, quello inferiore alla ruota.
Solo nel 1964, la Mini adotterà il sistema Hydrolastic che Alex Moulton non
aveva fatto in tempo ad approntare per il primo lancio della vettura. Questo è
una sorta di sospensione idraulica “auto livellante”.
Il 26 agosto 1959 ecco che la nuova vettura si presenta
al pubblico. Anzi, sono due le automobili che fanno il loro debutto in società.
Sono la Morris Mini Minor e l’Austin Seven (spesso scritto “Se7en”, con il 7 al
posto della V): due marchi dello stesso gruppo (BMC) che costruiscono lo stesso
prodotto, riconoscibile da pochi dettagli estetici. Ha fatto più il volte il
giro del mondo l’immagine della Morris Mini targata 621AOK insieme al
sorridente Alec Issigonis: quell’esemplare è il primo uscito dalla linea di
montaggio ed è oggi visibile al museo Heritage Motor Centre di Gaydon.
Lo sviluppo
Nel 1960 la BMC introduce la verisione commerciale Van la
quale, con l’aggiunta dei finestrini laterali e posteriori, diventa una sorta
di station wagon con i nomi Countryman per l’Austin e Traveller per la Morris.
Un anno dopo arriva poi la versione pick-up con cassone aperto. Nel 1961 la
Mini si “allunga” con le eleganti rivisitazioni Wolseley Hornet e Riley Elf e
si “spoglia” con la rustica Moke. Nello stesso anno vede la luce la variante di
John Cooper, della quale si parla più avanti. Nel 1962 anche la Austin Seven
adotta ufficialmente il nome Mini, ormai assurto a garanzia di successo.
La piccola inglese si fa i muscoli nel 1967, quando il
suo motore cresce di cilindrata a 998 cm3 e di potenza a 38 CV. Si rifà invece
il trucco due anni più tardi, quando alla British Leyland Motor Company
(succeduta alla BMC) pensano che un restyling possa dare un po’ di brio alle
vendite. Nasce la Mini Clubman, con il frontale più lungo e più squadrato. La
versione 1275 GT da 59 CV sostituisce – temporaneamente – la fortunata Cooper.
Nella Mini “classica” variano altri particolari: le
cierniere delle porte passano dall’esterno all’interno della vettura, i vetri
lateriali anteriori non sono più scorrevoli ma discendenti e sul cofano
anteriore appare il logo “Mini”.
All’inizio degli anni Ottanta le versioni station wagon
escono definitivamente di produzione. Rimane la Mini “berlina”, o “hatch” come
la chiamano gli inglesi, col motore 1000. Il marchio di fabbrica diventa, nel
frattempo, prima Austin Morris e poi Austin Rover Group. Le serie speciali
della gloriosa Mini si sprecano (come si può notare scorrendo la lista
pubblicata), ma le principali innovazioni riguardano l’adozione dei freni a
disco anteriori, le carreggiate allargate, l’utilizzo di ruote da 12 pollici e
numerosi dettagli interni che migliorano sicurezza e comfort. Dal 1992 e fino
alla definitiva uscita di scena della Mini nel 2000, il motore sale a 1275 cm3
con iniezione elettronica.
Il tocco di John Cooper
John Cooper nasce a Surrey, in Inghilterra, nel 1923 e
nel 1946, insieme al padre Charles, fonda la Cooper Car Company per la
costruzione di monoposto da corsa Formula 3 e poi Formula 1, fino a vincere il
mondiale nel ’59 e ’60. John Cooper e Alec Issigonis diventano amici proprio
sui campi di gara ed hanno rapporti professionali perché Cooper acquista i
motori della BMC.
La prima Mini rivista e corretta da Cooper nasce già nel
1959. E’ un esemplare unico che il tecnico allestisce per una gara che si corre
a Monza e al volante si esibisce il suo pilota Roy Salvadori. Seguirà
l’esperienza al Rally di Monte Carlo del 1960, dopo la quale Cooper suggerisce
alla BMC la produzione di una piccola GT su base Mini. La proposta non viene
accolta, ma George Harriman – amministratore delegato della BMC – risponde con
l’idea di produrre una serie limitata di 1000 esemplari della Mini Cooper con
motore da 55 CV, 21 in più di quella normale. Anche Issigonis è entusiasta
della nuova sportiva, tanto da lavorare insieme a Cooper per la realizzazione
della evoluzione “S” con motore portato a 1071 cm3 e 70 CV a 6.200 giri/minuto.
La Mini Cooper giunge all’affermazione nell’olimpo dello
sport automobilistico nel 1964 - quando Paddy Hopkirk vince il Rally di
Montecarlo - e nel 1965. quando le piccole bombe inglesi firmano la tripletta
nella stessa corsa con Timo Makinen, Rauno Aaltonen e di nuovo Hopkirk. Non è
finita, perché Aaltonen si porta a casa la vittoria nel Principato
nell’edizione 1967.
Commercialmente, la Mini Cooper dal 1961 al 1971 – ad
esclusione del ’69, quando viene sostituita dalla Clubman 1275 GT – ottiene
risultati strepitosi.
La produzione
La prima Mini – quella famosa, targata 621AOK – è stata
costruita nello stabilimento di Oxford, lo stesso dove ancora oggi (ed è l’unico
impianto nel mondo) vengono assemblate le nuove Mini. Ma la produzione vera e
propria inizia sulle linee Austin di Longbridge (vicino a Birmingham) il 4
aprile 1959. Le Morris Mini Minor, invece, avviano le linee di montaggio di
Oxford il successivo 8 maggio. Le prime Austin sono disponibili nei colori
rosso (Tartan Red), blu (Speedwell Blue) e bianco (Farina Grey); le Morris in
Cherry Red, Clipper Blue e Old English White.
La produzione Mini nell’impianto di Oxford termina nel
1968 dopo 602.817 esemplari: 561 nel 1959, 30.690 nel ’60, 45.329 nel ’61,
65.175 nel ’62, 71.492 nel ’63, 71.169 nel ’64, 65.845 nel ’65, 66.572 nel ’66,
94.898 nel ’67 e 91.086 nel ’68. Sono solo le versioni berlina, perché tutte le
altre (sia con marchio Morris, sia Austin) vengono costruite esclusivamente a
Longbridge, dove dal 1969 si trasferisce l’intera produzione Mini che terminerà
definitivamente il 4 ottobre del 2000 dopo 5,3 milioni di esemplari.
Mini speciali per clienti speciali
Alec Issigonis ha già le idee chiare al momento di
realizzare la Mini: deve risolvere i problemi quotidiani della mobilità
individuale, quindi deve essere un’auto per tutti. Così è: la Mini è l’auto
giusta al momento giusto. Non solo tecnicamente o economicamente. Ma è anche
l’auto giusta al momento giusto dal punto di vista sociale e di costume. Siamo
nei mitici “swinging sixties”, i colorati e frenetici anni Sessanta. Tutto sta
cambiando, le ragazze scoprono la mini gonna di Mary Quant, in Inghilterra si
balla con i Beatles e con lo Spencer Davis Group. C’è addirittura una leggenda
che riguarda quest’ultimo. Pare infatti che la canzone “Keep on running” sia
stata ispirata da un viaggio di Davis al volante della sua Mini Cooper nel bel
mezzo di un temporale infernale. Guardando l’indicatore della benzina, il
cantante aveva un solo ed unico pensiero: “Continua a correre! (Keep on
running)”.
La Mini diventa presto un culto e piace a tutti: uomini e
donne, ricchi e poveri. Molto presto anche il mondo artistico la scopre. Dagli
stilisti Mary Quant e Paul Smith, ai musicisti Eric Clapton e David Bowie, agli
attori Michael Caine (protagonista, insieme alla Mini, del celebre film The
Italian Job) e Peter Sellers.
Un reparto dell’attuale Mini Oxford Plant, denominato
“T-Building”, ospita la collezione degli esemplari storici e speciali, come
quello dipinto da George Harrison negli anni Sessanta, quello completamente
cromato di David Bowie, quello della modella Kate Moss o, ancora, dell’attrice
Natascha Caine.
“MINICRONOLOGIA”
1959: Austin
Seven e Morris Mini Minor
1960: Austin
Seven Van e Morris Mini Van, Austin Seven Countryman e
Morris Mini Traveller, Austin Seven Pick-up e Morris
Mini Pick-up
1961: Riley Elf
e Wolseley Hornet, Austin e Morris Mini Cooper, Austin e Morris Mini Moke
1962: Austin
Seven cambia nome in Austin Mini
1963: Mini
Cooper S
1967: Mini Mk II
1969: Mini Mk
III, Mini Clubman, Mini Clubman Estate, Mini Clubman 1275 GT
1971: Mini Moke
Californian
1974: Mini Moke
Utility
1976: Mini Mk IV, Mini 1000 Special
1979: Mini 1100
Special, Mini City
1980: Mini
Clubman 1000 HL
1982: Mini
Mayfair
1984: Mini Mk V, Mini 25
1985: Mini Ritz
1986: Mini
Chelsea e Piccadilly
1987: Mini
Advantage e Park Lane
1988: Mini Red
Hot, Jet Black e Designer
1989: Mini Rose,
Sky, Flame Red, Racing Green e Mini 30
1990: Mini Check
Mate, Studio 2 e Cooper
1991: Mini Mk VI, Mini Neon, Cabriolet
1992: Mini
Sprite, British Open Classic e Italian Job
1993: Mini Rio e
Tahiti
1994: Mini
Cooper Monte Carlo, Mini 35 e Cooper Grand-Prix
1995: Mini Sidewalk
1996: Mini Mk
VII, Mini Cooper 35
1997: Mini
Classic, Cooper
1998: Mini Paul
Smith, Cooper Sport
1999: Mini 40,
Mini John Cooper
2000: Mini
Cooper Sport 500, MINI One
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