La versatile Autobianchi Primula |
Squilla una voce nella grande sala dei tavoli da disegno.
“Ingegnere!”. Dante Giacosa si volta riconoscendo Ettore Cordiano, caposervizio
nel reparto Ingegneria avanzata della Fiat. “Si può fare – esulta Cordiano –
abbiamo trovato la soluzione”. Dev’essere stata una gran bella giornata per
Giacosa, già padre della Topolino, della 500 e della 600, che dal 1961 stava
lavorando a una nuova piccola vettura “tutto avanti”, con motore quattro
cilindri di 1.200 cm3 (nome in codice 103) derivato dalla Fiat 1100 D. Il
problema rimasto insoluto, fino a quel fatidico giorno di febbraio del 1963,
era quello di riuscire a montare il gruppo motore e cambio anteriormente in
posizione trasversale, mantenendo le stesse dimensioni (e soprattutto il peso
ridotto) della 1100 D. La soluzione scoperta da Cordiano era quella di ridurre
lo spazio occupato dalla frizione.
Ma qual era lo scopo di Giacosa? Cosa l’aveva spinto a un
così lungo lavoro, alla ricerca assidua, meticolosa e ininterrotta? Sembra un
paradosso, ma il miraggio dell’ingegnere torinese era... la semplicità. Più
precisamente, trovare la soluzione più funzionale ed economica per la
disposizione degli organi propulsori in una vettura dalle ridotte dimensioni e
dal basso costo, che potesse avere la maggior diffusione possibile.
Questa tecnica è oggi adottata dalle principali case
automobilistiche sui modelli più popolari, ma nel 1964 si trattava di una vera
innovazione, nascosta sotto i panni dell’Autobianchi Primula in occasione del
Salone di Torino.
Val la pena, quindi, ricostruire la genesi di questa
vettura e carpirne qualche segreto. Torniamo in quel reparto di Ingegneria
avanzata – creato dallo stesso Giacosa – dove letteralmente si dava sfogo alla
fantasia (quella che fa arrivare alle grandi scoperte, appunto) e dove lo staff
del tecnico Fiat disegnava, costruiva e sperimentava. Siamo nel 1961 e uno
spettro si aggirava nelle stanze del reparto. Era quello della Mini, la
creatura del genio Issigonis. Così compatta, brillante e funzionale. Ma c’era
qualcosa, della fortunata vetturetta inglese, che non piaceva a Giacosa. Gli
organi del motore e del cambio, contenuti entrambi nel basamento, non
permettevano di essere provati e montati separatamente. Poi, dal momento che
quando il cambio viene montato a lato del motore richiede una serie di
ingranaggi o una catena per la trasmissione del moto, vi è un aumento di peso,
costo, rumore e difficoltà di montaggio. La Mini presentava, appunto, queste
caratteristiche negative.
Nasceva il progetto “109”, utilizzando e adattando alla
posizione trasversale il motore quattro cilindri 103. Nel frattempo, il Centro
Stile, con i fratelli Boano che avevano ripreso a lavorarvi, stava allestendo
una carrozzeria coupè che riprendeva le dimensioni della 1100 D e quindi della
103. Giacosa, ogni volta che passava dal Centro Stile, vedeva quella
carrozzeria prendere forma e sempre più la vedeva legata al “suo” nuovo
progetto. In seguito alle sue indicazioni, quel coupè ancora in “embrione”, si
trasformò in una berlina-station wagon a quattro o cinque posti con porta
posteriore.
Ma il gruppo trasversale motore-frizione-cambio che
stavano preparando all’Ingegneria avanzata era ancora troppo largo di 10
centimetri. Sembravano non esserci soluzioni, se non l’allargamento della
carreggiata, che però avrebbe comportato un aumento di peso e costo.
Giacosa era quasi rassegnato. Poi – “Ingegnere!” – la
voce sorridente di Cordiano che in trionfo aveva scoperto l’arcano. Bastava
ridurre lo spazio occupato dalla frizione, eliminando il cuscinetto di spinta e
la leva che comunemente è usata per il distacco. La frizione veniva ora
comandata da una trasmissione idraulica e un’asticella infilata nell’albero
primario del cambio.
Non c’erano più dubbi. La nuova automobile si poteva
fare. Chi doveva farla? In quel periodo l’Autobianchi vedeva la partecipazione
societaria di Pirelli e Fiat, quest’ultima responsabile della direzione
tecnica. Giacosa espose l’idea della nuova vettura a Nello Vallecchi, direttore
dell’Autobianchi, che fu subito d’accordo sulla possibile produzione. Al
contrario della Fiat, dove invitavano alla prudenza e preferivano non azzardare
scelte così impegnative e commercializzare la “850”, piccola vettura con
tradizionale meccanica “tutto dietro” derivata da 500 e 600. Solo con la “128”
– che debutterà nel 1969 – la Fiat adotterà l’innovativa meccanica con motore e
cambio trasversali.
A metà del 1964, nello stabilimento di Desio (Milano),
partiva la produzione della Autobianchi A 109, ribattezzata Primula.
I primi collaudi della vettura iniziarono il 1° novembre
1963 sulla pista Fiat de La Mandria, alle porte di Torino, e subito si
riscontrava un difetto tipico delle “tutto avanti”: il bloccaggio delle ruote
posteriori in frenata dovuto all’alleggerimento del retrotreno. La Primula era
dotata di quattro freni a disco – all’epoca una cosa eccezionale per le vetture
“medie” – e, per evitare sbandate “anomale” in frenata, era stato studiato un
ingegnoso dispositivo in grado di ridurre lo sforzo frenante sulle ruote
posteriori in base al carico di peso. Più semplicemente, un leveraggio
collegato all’assale posteriore azionava il regolatore di sforzo seguendo i
movimenti dell’assale stesso. Nella guida, questa soluzione si traduceva in una
maggior sicurezza – frenando improvvisamente in curva non vi era il rischio di
eccessive sbandate – e la mancanza del servofreno rendeva la frenata pronta e
rapida. Secondo segreto: lo sterzo a cremagliera, che usciva per la prima volta
dalla progettazione Fiat.
Anche all’interno dell’abitacolo, la Primula si
apprezzava per la comodità e il discreto allestimento, di chiara derivazione
Fiat ma leggermente più curato. La piccola station-wagon, grazie al pratico
portellone, alla ruota di scorta posizionata sotto al piano di carico e alla
possibilità di abbattere i sedili posteriori, ben si adattava a caricare “armi
e bagagli” e, come si dice oggi, ideale per la famiglia e il lavoro. L’unico
neo era il prezzo, un po’ elevato: 1.050.000 Lire, più di quanto occorresse per
una Fiat 124 nel 1966 (1.035.000 Lire).
Dal 1964 al 1970, la Primula viene prodotta nelle
versioni berlina (due, tre, quattro e cinque porte) e, dal 1965, coupè (con
motore 1.221 cc, fino al 1968, e 1.438 cc da 65 CV derivato dalla Fiat 124, dal
1968 al 1970).
Caratteristiche tecniche
Motore
anteriore trasversale, quattro cilindri in linea,
alesaggio e corsa 72 x 75 mm, 1.221 cc, potenza massima 57 CV a 5.300 giri/min,
rapporto di compressione 8,1:1, albero a camme laterale, valvole in testa
inclinate, carburatore invertito Weber 32 IBM
Trasmissione
Trazione anteriore, frizione monodisco a secco con
comando idraulico, cambio a quattro rapporti sincronizzati con leva al volante
Sterzo
A cremagliera
Freni
A disco sulle quattro ruote con regolatore automatico di
frenata al retrotreno
Sospensioni
Anteriori a ruote indipendenti con balestra trasversale
superiore e bracci triangolari inferiori, ammortizzatori idraulici telescopici,
posteriori ad assale rigido con balestre longitudinali e ammortizzatori
idraulici telescopici
Pneumatici
145-13
Dimensioni e pesi
Lunghezza massima 3.785 mm, larghezza massima 1.578 mm,
altezza 1.340 mm, carreggiata anteriore 1.330 mm, posteriore 1.290 mm, passo
2.300 mm, peso in ordine di marcia 830 kg, capacità serbatoio 40 litri
Prestazioni e consumi
Velocità massima 135 km/h, consumo 7,8 litri per 100 km
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